19 Aprile 2024
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Sul toponimo Maiella

Lo studio dell’origine del nome, parte dalla consultazione di fonti scritte ed attendibili.

Maiella non deriva dalla dea Maja e neppure dal ‘majo’, la pianta che vi cresce spontanea e abbondante. Majella e Mayella, altro non sono che l’evoluzione grafica della forma più antica Magella.

Foto 1 – de pedemontis magelle

Foto 2 – magellanū

 Foto 3 – magella

L’esame di Lucio Traborrelli, inizia dalla consultazione di testimonianze scritte più antiche oggi pervenuteci .Prendendo dalla questione aperta tempo fa dal Parco nazionale della Maiella, – dice lo studioso di Guardiagreleche ha portato a modificare la propria denominazione adottando la forma “Maiella” con la “I” rinunciando alla “J” , ho approfittato per rispolverare vecchi documenti e studi, perché forse, un po’ di chiarezza in più non guasta, ferma la libertà per chiunque, di adottare la forma che preferisce.”

«NON E’ VERO –  ci spiega Taraborrelli – che la Maiella deriva dal nome della dea Maja. Quella della dea Maja e del figlio morente arrivati in Abruzzo, non è una leggenda: è una favoletta iniziata a circolare alla fine dell’Ottocento a beneficio degli spiriti romantici. La Maja della mitologia greco/romana era una dea (immortale), madre di un dio (Hermes/Mercurio), anch’egli immortale, che avevano altro da fare che venire a morire sui monti d’Abruzzo. Enrico Abbate, sul Bollettino n. XXIV del CAI (1890) fece un breve accenno a tale genesi toponomastica, dandogli però poco credito. La definitiva affermazione della pseudo-leggenda è merito di Giovanni Pansa, che la riportò nel suo ponderoso e celebre studio “Miti, leggende e superstizioni d’Abruzzo” del 1924. Quello che non tutti sanno è che Pansa, di solito serio e attento, copiò pari pari, fidandosi, la versione tanto verbosa quanto falsa, spacciata per leggenda circolante tra le contadine locali, pubblicata in un libercolo del 1919 (La Majella e l’Abruzzo Citeriore) del guardiese Giuseppe Iezzi, sulla cui attendibilità non conviene sprecar tempo»

«NON E’ VERO, per lo stesso motivo detto sopra,  dice ancora Taraborrelli – che la Maiella deriva il nome dal “majo”, il maggiociondolo, una pianta che vi cresce spontanea e abbondante. Il toponimo proviene da un passato impenetrabile ed è ingenuo pensare che possa trarre la sua origine dal nome di una pianta. La ricerca di un’affinità onomastica che potesse chiarire la provenienza di un termine altrimenti inspiegabile ha portato a semplificazioni estreme»

«NON E’ VERO che Plinio, nella sua Naturalis Historia, parla della Maiella chiamandola “Pater Montium”. – afferma con certezza TaraborrelliSi tratta di un’altra frottola messa in giro nell’Ottocento e spacciata per vera senza che nessuno si sia mai preso la briga di andare a verificare. Nelle opere dello scrittore latino non vi sono riferimenti alla Maiella. L’espressione “pater Appenninus” si legge nel XII Libro dell’Eneide di Virgilio (v. 703), mentre “pater montium Apenninus” si legge in una Epistola di Francesco Petrarca, ma entrambe sono genericamente riferite alla catena appenninica, non alla Maiella

«NON E’ VERO che Tito Livio parla della Maiella chiamandola “Nicate” afferma di nuovo con certezza lo studioso Si tratta di un errore del geografo veneto Domenico Mario Negri, che nella sua opera “Geographiae Commentariorum Libri XI” del 1557 confonde il Matese con la Maiella e attribuisce allo storico latino una affermazione in realtà da lui mai scritta. Tali due ultime clamorose “sviste” vennero evidenziate da Lorenzo Giustiniani nel suo “Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli” già nel 1816 (p. II, t. II), e da altri dopo di lui, ma pare che nessuno abbia voluto dargli retta

«NON E’ VERO che il nome originario della montagna fosse “Majella”. dice Taraborrelli – Nelle testimonianze scritte più antiche ad oggi pervenuteci essa è chiamata “Magella”. Nel Cronaca dell’abbazia di San Clemente a Casauria (Chronicon Casauriense) è riportato un documento dell’anno 874 in cui si legge “de pedemontis Magelle(foto1 ), una forma toponomastica che nello stesso Chronicon ricorre altre tre volte. Nel Cartulario di San Salvatore a residente Archeoclub di GuardiagreleMaiella, e precisamente nella cosiddetta “Autobiografia del priore Giovanni”, risalente agli anni 1020/1030, si legge “Magellanum monasterium” (foto 2), e tale formula (“Magellane prior”, “ecclesia domini Salvatoris de Magella“, “Magellane heremi”) si ritrova in decine di atti redatti tra la prima metà dell’XI e la fine del XII secolo. La forma “Majella”, con la –j-, nel Cartulario di San Salvatore, compare per la prima volta in un documento del 1284; posteriore è anche “Mayella” scritta con la –y-. E’ interessante notare che in una pergamena del 1141, conservata presso l’Archivio della Curia di Chieti, il priore Alessandro di San Salvatore scrisse di suo pugno “heremi magellane” e, per ben due volte, “Maiella” con la –i-. In una bolla di papa Onorio III (conservata nell’Archivio Capitolino di Roma), rilasciata nel 1216 per l’altro celebre monastero benedettino della Maiella, San Liberatore, dipendenza cassinese, si legge “Sancti Liberatoris de Magella (foto 3). Ugualmente, la prima volta in cui il monastero di Santo Spirito di Maiella, fondato da Pietro del Morrone, viene menzionato in un documento ufficiale (1263, conservato nell’Archivio di Montecassino), vi compare come “Sancti Spiritus de Magella“.»

«“Majella” e “Mayella” ci fa noatare Taraborrelli – altro non sono che l’evoluzione grafica della forma più antica “Magella”, come lo stesso Lorenzo Giustiniani faceva notare nel 1816: “Si dice che nelle carte de’ mezzi tempi trovasi Magella, ed essendo così, per iscambiamento della lettera G in I fatta dagli amanuensi, detta si fosse dipoi Majella; e non credo affatto che per altra cagione avesse potuto ciò avvenire”. Nelle prime rappresentazioni cartografiche dei secoli XVI e XVII, la montagna viene innumerevoli volte raffigurata con la didascalia “Maiella”, “Maiella mons”, “Maiellae montes”, “monte Maiella” e anche “The mount Magella”; di ciò si è ampiamente occupato Ezio Mattiocco

«Il linguista Giovanni Alessio, – spiega ancora Lucio Taraborrelli in uno studio del 1951 (“Problemi di toponomastica”), prese in esame alcuni toponimi propri dell’area balcanica aventi radice mag- e tra questi il termine rumeno “magura”, quello albanese “magule” ed altri simili (“magulica”, “magoula”, “magali”) attestati tra la Grecia, l’area danubiana e il Caucaso, tutti con lo stesso significato di “altura”, “montagna”, ma anche “tomba a tumulo”. La medesima radice mag– si ritrova in Asia minore (“Magal”), in Sardegna (“Magai” e “Monte Maguri”), in Lucania (“Magorno”), in Toscana (“Mugello”) e nei Paesi Baschi (“Magasca”): una persistenza linguistica di origine pre-indoeuropea presente ampiamente nel bacino del Mediterraneo, ovunque con lo stesso significato di “montagna”, grande “tumulo”, “luogo sopraelevato”, verosimilmente da ricondurre al popolamento neolitico, comunque pre-indoeuropeo, di un territorio vastissimo che va dal Caucaso ai Pirenei

«Lo stesso Giovanni Alessio e il noto linguista abruzzese Marcello De Giovanni, – aggiunge Taraborrelli – in un lavoro scritto a quattro mani nel 1983 (“Preistoria e protostoria linguistica dell’Abruzzo”) misero in relazione il toponimo “Magella” con gli oronimi anzidetti, dimostrando uniformità di significato nei termini aventi radice mag-, presente anche nel nostro toponimo, completato con la formante –ell del sostrato. Qui il tema lo lasciamo volentieri agli specialisti, ma non si fa fatica a comprendere che “Magella” è un oronimo che affonda le sue radici nelle nebbie della preistoria mediterranea, una montagna che era visibile da grandissima distanza e che ricordava un immane tumulo funerario, che grazie alla sua ricchezza di pascoli, acque, legname e selvaggina forniva (e fornirà nei secoli) il necessario alla sopravvivenza dell’uomo, come innumerevoli testimonianze archeologiche da decenni stanno dimostrando. Una grande e amorevole “Madre”. Ed è indubbio che la realtà sia estremamente più interessante e affascinante delle leggende inventate.»

«Da un lato conclude  Taraborrelli – fonti scritte certe, originali ed attendibili e studi linguistici di prim’ordine; dall’altro una favola costruita ad arte pochi decenni fa, che parla di dei dell’Olimpo venuti a morire in Abruzzo e di “Majellane” giganti, con grandi cerchi alle orecchie, di cui nessuno ha mai fornito il necessario riscontro etnografico (dove e quando sarebbero state raccolte tali leggende? Chi le avrebbe raccontate? Con quale grado di serietà e attendibilità?).  Eppure, è sufficiente cliccare in Rete “Maiella origine del nome” per accorgersi che a circolare, oggi, sono solo le invenzioni.»

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