16 Ottobre 2024
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Gioia Fiorentino: “Riconoscere la bellezza per sopravvivere” – Capitolo 2

In questa pagina, la seconda parte del riassunto in capitoli, della vita e dell’attività artistica di Gioia Fiorentino, a cura del figlio Emiliano Damonte.

Articolo di: Emilano Damonte

Madonna con bambino – Acquerello del 1971

I primi anni di vita di Gioia nel quartiere Flaminio di Roma hanno segnato un orizzonte, un modo di vedere il mondo. In mezzo al dolore e all’incertezza della guerra, ai bisogni e alle paure, emergeva la bellezza. Le passeggiate con suo fratello, uno degli amori della sua vita, che apparirà poi costantemente nelle sue opere nel corso degli anni, le tecniche e gli impulsi, erano essenzialmente questo: spazi di bellezza. 

Gioia ricordava sempre le sue passeggiate mattutine al Pincio, mano nella mano con Rodolfo Fiorentino, che le insegnava a leggere e a scrivere; le parlava di storia, di fantasia e tra le tante cose, le insegnava anche a sognare. Ricordava sempre quei minuti nebbiosi in cui il calore del sole cominciava ad evaporare la rugiada notturna che riposa ancora sull’erba verde. Parlava sempre dei mille verdi della natura. Il canto dei passeri le sembrava un meraviglioso e impreciso ornamento, ed amava teneramente gli animali.

Casoli un luogo sicuro 

Casoli era a quel tempo un rifugio dalle difficoltà della guerra. A Casoli si mangiava bene, c’erano gli zii e soprattutto le zie. Maria di zio Peppino, la sua preferita, la più umana, quella che la coccolava e che più di una volta chiese a mia nonna di lasciarla crescere; Maria di zio Checco, invece, la più rude, con la quale ebbe fino alla fine un rapporto pieno di diffidenza, se andiamo al caso, abbastanza giustificata. 

Non è chiaro quanti periodi trascorsero a Casoli in quegli anni, so solo che quando erano in paese vivevano meglio, ma Gioia sentì sempre la mancanza di Roma.

La guerra è la materializzazione di tutte le morti possibili.

Le guerre lasciano un’impronta di insicurezza nelle persone. La sensazione che tutto ciò che c’è di buono nella vita possa improvvisamente finire è sempre presente e non è solo un’oscura illusione. Non c’è minaccia più grande per l’essere umano dell’essere umano stesso, e questo è anche impresso nella mente e nel lavoro di Gioia. Il peggior nemico può essere il nostro prossimo. Il bene, il sicuro, può diventare un inferno senza preavviso e senza che si possa far nulla per evitarlo. Rodolfo, il suo amato fratello, sarà, alla lunga, la dimostrazione più crudele di questa visione della vita. Ma questo sarà oggetto di un altro capitolo.

La bellezza in tutte le cose

La cosa più importante che Gioia Fiorentino mi ha insegnato, è che la bellezza è sempre presente. Solo poco più di due mesi fa sono arrivato a questa conclusione. Lo capii in viaggio in ambulanza verso San Vito per un esame che la preoccupava particolarmente, cercavo di rassicurarla. La paura l’aveva sopraffatta e ogni tre minuti mi chiedeva se ero lì con lei. Mentre continuavo a dirle che ero lì, guardando fuori dal finestrino attraverso gli adesivi del veicolo, ho visto la Majella in tutto il suo splendore dei suoi quasi 3000 metri, con il celeste più celestiale sullo sfondo, ed ho provato serenità. Gliel’ho descritto e l’ho ringraziata per avermi insegnato a riconoscere la bellezza e ad essere sempre sensibile ad essa. Il viaggio è diventato più leggero, la paura non è sparita e nemmeno la mia incertezza, ma l’irruzione della bellezza ha cambiato il momento. 

Lo studio confermò ciò che sospettavo: mamma se ne stava andando, le rimanevano non più di 10 settimane, che alla fine sarebbero state solo 3. In quel momento riconobbi che questa capacità di cercare la bellezza in ogni istante e di trovare conforto in essa, era il dono più grande, l’eredità più straordinaria che mia madre mi stava lasciando.

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